Maurizo Sarri è nato a Napoli il 10 gennaio 1959, crescuuto a Lovere in provincia di Bergamo, ben presto si è trasferito con la famiglia a Figliene Valdarno. Il suo “Babbo” era un operaio gruista; lui invece, inizialmente, ha un percorso professionale in banca, affiancando al suo lavoro la grande passione per il calcio giocato. Nel 1999 decide di dedicarsi totalmente al campo e intraprende la carriera di allenatore al Tegoleto. Un uomo rigoroso e determinato con un lunghissimo percorso nel pallone nei rettangoli di gioco di periferia.
È sempre stato attento alle caratteristiche dei propri giocatori. L’allenatore toscano faceva un (4-4-2) senza inventare nulla, attenzione maniacale per la fase difensiva e alla linea dei quattro, alle palle inattive non a caso era chiamato Mister 33; chi batteva calci d’angolo e punizioni era a rischio stiramento, faceva un’ora e mezzo di palle inattive al sabato, mettendo a forte rischio l’incolumità muscolare dei suoi giocatori. Un malato di calcio. Per lui c’era e c’è sempre il pallone. La la scuola toscana era cosi, Ulivieri e Indiani, dei Maestri di campo, erano una sorte di “Sarri style”; palle inattive rifinitura per un’ora e passa. Partendo dai falli laterali da una fascia all’altra senza lasciare nulla al caso, la cura del dettaglio. Farlo passare da palleggiatore numero uno, come ora, sembra un’eresia; il suo gioco all’epoca del Sansovino e della Sangiovannese era semplice, al massimo due passaggi tra la linea, e poi la vecchia picconata per la punta e via in verticale. Sarri è cambiato di continuo, si è sempre messo in discussione è sempre voluto crescere, sostanzialmente a lui piaceva stare in campo è iniziato tutto per passione non aveva in programma di fare il mister, era un allenatore divertito ha sempre detto: “ io pagavo per allenare” non pensava di arrivare ad alti livelli. Negli anni è cambiato tantissimo anche nel lavoro settimanale, ha rivisto un pò tutto, dai concetti, gli obiettivi, il livello della squadra che allenava, all’evoluzione del calcio, dove 10/15 anni fa non c’era questo palleggio esasperato, non si era ancora scoperta questa chiave di gioco si cercava molto più la verticalità -si è vero in allenamento si facevano lunghi possessi palla ma finiva li’- in gara era diverso. Ad Empoli comincia il grande cambiamento giocando, soprattutto dal secondo anno (stagione 2013-14), un nuovo tipo di calcio sfruttando anche le qualità e certe caratteristiche della sua rosa. I titolari inamovibili erano sempre gli stessi -una cosa che ha ripetuto in parte anche al Napoli non ha mai amato le rose troppo profonde- chiaramente con il (4-3-1-2): Bassi in porta, la difesa Laurini, Tonelli, Rugani, Hysaj o (Mario Rui); a metà campo, Moro, Valdifiori a fare il metronomo e Croce. Simone Verdi giocava dietro la coppia di punte Maccarone e Tavano. Nel Napoli ha continuato questo percorso con lo stesso modulo di gioco di Empoli, con Insigne dietro le punte, velocemente modificato in (4-3-3) perché il piccolo attaccante napoletano era inadeguato nel ruolo di trequartista. È proprio nel Napoli che c’è l’ulteriore alzamento del livello -tenendo sempre presente le peculiarità dei suoi ragazzi- diventa un palleggiatore, diventa il Guardiola del Valdarno. Anche nel Chelsea, avendo a disposizione un fuoriclasse come Eden Hazard, è costretto a modificare certe dinamiche. Sostanzialmente per sfruttare il belga lo lascia libero di giostrare in avanti senza preoccuparsi d’altro, partendo sempre da sinistra con il più classico dei (4-3-3). In fase di ripiego questo costringeva i blues a ruotare la squadra verso sinistra modificando il sistema di gioco in un (4-4-2).
Veniamo ad oggi. Sarri dichiara: “la Juventus non potrà mai giocare come il Napoli”, ma questo non significa che non possa giocare altrettanto bene, solo che lo farà in modo diverso. La scelta del modulo inizialmente è il (4-3-3) per sfruttare al massimo le qualità di Douglas Costa. Il mancino brasiliano è al centro del progetto e partendo da sinistra ha un inizio devastante. Tenendo in considerazione che Cristiano Ronaldo è intoccabile, Matuidi diventa fondamentale (cosi come Sami Khedira) nel doppio ruolo di interno di sinistra (in fase d’attacco) ed esterno di sinistra (in fase difensiva). Si torna di fatto ad un (4-4-2) che ha una vaga somiglianza con il modo di giocare della squadra di Max Allegri, perché per poi cambiare ci vuole del tempo e le rivoluzioni “copernicane” nel calcio portano a poco. Ma una volta che Costa si fa male, Sarri prontamente vira per (4-3-1-2), che non utilizzava dai primi mesi al Napoli, prima con Ramsey poi con Bernardeschi dietro le due punte, appunto Cristiano e Pipa Higuain/Dybala. Sarri sta lavorando sui principi di gioco, prima che sui meccanismi senza forzare certe dinamiche, ma anche sull’atteggiamento mentale. La Juve continua ad attaccare e difendere in avanti. Sta diventando un allenatore anche più concreto, per certi versi meno didattico, probabilmente il passo che gli mancava per compiersi ai massimi livelli, sfruttando l’occasione di allenare una squadra, la Juve, che ha una qualità di giocatori illimitata, nell’attesa che i trofei diventino una testimonianza tangibile del suo lavoro. L’aggettivo dato a Sarri di integralista ha un riscontro reale. Mister 33, il Guardiola del Valdarno è un integralista onesto. Con dei principi di base ben precisi che applica quotidianamente che sono poi il piedistallo del suo modo di fare calcio. Da persona e allenatore intelligente, ha modificato, limato, migliorato certe situazioni.
Siamo solo all’inizio stagione e come sempre è stato sarà poi il rettangolo di gioco a dare il verdetto su Sarri e la sua Juventus.

Sezione: Primo Piano / Data: Gio 10 ottobre 2019 alle 13:20
Autore: Giuseppe Malaguti
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